Attendersi di là, poesie 2017

Uscendo di casa
sentii un profumo fortissimo
fruttato, trascinante.
Gelsomino forse,
un corpo nudo,
il fresco del bucato appena fatto.
Chiusi gli occhi,
feci cadere la risma dei fogli
che avevo tra le mani.
Ero lontano ormai,
leggero, distaccato.
Potevo tornare a sognare,
tornare all’amore, ai vent’anni.
A domani.









Dopo l’inverno, l’estate.
Dopo il disamore, l’amore.
È il ciclo delle stagioni
che si rinnova.

Sotto la gronda,
già vedo due rondini
rincorrersi nel vento,
ricamare che è vero
che la vita ritorna.











Mia figlia mi tocca, di notte,
col suo morbido braccio.
Si stende nel letto, si rotola, si allarga,
come se io non ci fossi.
Oppure, come se ci si potesse scambiare
di corpo, di spazio, di sogno.
Attendendo che Orfeo







Eccomi qui, di nuovo,
nella casa dell’infanzia
la sola che ho amato, mi ricordi.
Forse.
Ma qui le cose sono leggere.
Un ragno s’arrampica sopra la tenda,
sapendo di non essere temuto;
la polvere si posa sui mobili
senza destare occupazione.
Qui le cose capitano all’aria,
lente, appena riscaldate dal sole;
qui il tempo può fare il suo corso,
andarsene e tornare,
sbiadire ed ammalare, senza scalpore.
Tu dici solitudine.
Io parlo di altro amore.












Scrivo il tuo nome con una margherita
e il cuore torna ad essere incantato, felice,
scaldato dall’estate dei tuoi occhi.

Scrivo il tuo nome con una farfalla
e il cuore torna ad essere leggero, bambino,
nel cielo variopinto dei capelli.










Qualunque sarà la casa in cui finirò
mi porterò appresso la tua fiducia, il tuo amore,
e sarò al sicuro.

Qualunque sarà la strada che prenderai
ti porterai appresso il mio sguardo, il mio amore,
e non sarai più sola.












L’estate con te è quando nel mare
cadeva una stella,
e tu per magia correvi a riprenderla.

L’estate con te è quando anche il cuore
cadeva sulla spiaggia,
e non si rompeva.









Così piccola e bionda,
così agile e buona,
che sembri una vespa
discesa dal cielo
per pungere e sorridere.

– Come posso afferrarti –
dice il mare?
– Come posso ringraziarti –
dice il cuore?













Con la bacchetta magica
mi scrivi nel cielo
che cosa devo fare
per essere felice.

Con la bacchetta
mi segui anche di sera
per insegnarmi a ridere.









D’improvviso, ti vedo leggera,
felice, bambina. Una vespa.
Il cielo s’è schiarito.
L’infanzia è ritornata,
l’estate, la forza, la calma.
Dovessi ancora perderti,
almeno so che esisti.














La piccola vespa ha imparato a nuotare.
Salta, si tuffa, riemerge.
La mamma e l’amichetta la incitano a buttarsi,
a proseguire.
Adesso sa anche lei che sul buio
si può pure galleggiare.










Non spaventarti – mi dico –
ti sto solo precedendo.
Farai la stessa strada,
quella della caduta, della speranza,
troverai le bricioline che ti ho lasciato,
per dirti del senso,
e se per caso ti sentissi angosciata
sappi che è l’amore, solo questo.









La piccola si dondola sull’altalena.
Ride, promette, si burla della mamma.
Non vuole più smettere.
Si allena a prolungare l’infanzia.








Finita quest’estate, dovremo cambiare.
Troppo lungo è l’inverno,
troppo lunga la distanza
tra un viaggio e l’altro,
tra un mare e l’altro,
tra me e te.
Lasciamo perdere le navi d’altura.
Forse le barche potranno bastare,
per essere felici.










Ti ho lasciata ancora una volta.
Sola, disorientata.
Mi sono detto che così va meglio.
Stai in buone mani,
mia madre e la sua casa
non sono degli estranei,
la città è umana.
E poi, che altro dire,
laggiù in campagna
non c’è riscaldamento,
non puoi più restarci.
Questo è quanto.
Per il resto, io so e tu sai
che ci salutiamo, per sempre,
che a casa non ci torni,
che ti lascio a morire
dove e come n’era scritto che morissi,
e che a volte gli amanti
si lasciano la mano
per trovarsi più avanti.







Il fiume scorre ancora a fondovalle.
Niente di aulico.
Un fiumiciattolo, neve sciolta e fango,
che ancora fluisce sul ciglio della strada
perdendosi sotterra, nel campo del vicino.
Allora, nessuna poesia.
La vera notizia sta nel fatto
che anche noi ci siamo ancora,
qui, alla finestra,
dopo l’ultima tempesta.










Da un po’ di giorni faccio tutto da steso.
Prendo appunti, guardo la tele,
ascolto mia figlia al violoncello.
Mi alleno a guardare un soffitto insomma,
in vista dell’incontro misurato
con lo spazio angusto,
il parlar muto, il fiato lento.











Adesso ti tocco,
piccola tartaruga dagli occhi tristi.
Seguo le rughe sul tuo viso di cuoio.
Son cieco io. Ho bisogno del tuo alfabeto
per sapere quanto coprirmi nella tormenta,
quanto vento respirare,
come stringere una mano per sfuggire alla notte.
C’è piacere a medicare anche una piaga,
accompagnarti fino al fondo della strada.
Sei tu che m’insegni che questo è l’amore.








C’è una strana atmosfera oggi.
Fuori, la neve cade silenziosa e cospicua.
Sembra assicurare una calma normalità
perché ci si possa ritrarre nei vetri
con aria serena.
Dentro, la piccola e sua nonna
si stanno addormentando.
Tutto sembra avverarsi – mi dico -,
due stelle che s’incontrano
svolgendo il loro ciclo,
due capi d’uno spago che riannodo, stupito.
Posso tenere la morte e la vita con la stessa mano.












Grazie per aver aspettato a morire,
per avere tardato.
Il tuo amore mi ha aiutato a diventare grande,
a accettare di perderti senza perdere tutto,
senza perdermi.
Grazie a te son diventato più chiaro,
e forse più saggio.
Guardo la stanza, adesso,
ti vedo in ogni angolo, ma viva, davvero.
Non ti scorderò.
Nessun lutto. Nessun giro di carte.
Mi hai concesso la fortuna di essere l’ultimo
a doversene andare.
Il tuo richiamo si spande per casa,
e l’ultimo sguardo è ancora per te.









Dopo, non si può più dire nulla.
Il tempo è occupato dalla caduta verticale
nei ricordi, nell’immagine che ti assedia,
dalla discesa nella profondità.
Sei tu che stai distesa, a mani giunte
come riflessa nella luce nera del dolore,
serena, ininterrotta, conciliata finalmente.
Ogni tanto mi sento how deep is your love,
e mi dico com’era.












Finisce così, questo libro.

Quello che avevo da dire
non l’ho detto.
Sono stato scostante,
bugiardo, incerto.
Ho fatto sognare?
Ho amato davvero?
La vergine adolescente
cos’ha visto alla finestra,
un estraneo? Un padre?
Forse ho raccolto soltanto
parole d’autunno
cadute da un albero.

Finisce così, questa estate.

Attendersi di là, poesie 2017. La Bussola, Roma 2022


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