L’amore apocrifo. Poesie, 2021

Ho vissuto col cancro, tutta la vita.
Ho odiato mio padre, ho amato le stelle,
cose qualunque, si direbbe.
Poi le porte si son chiuse alle spalle.
È che quando comincia una storia
non sai mai se va bene o va male.
Lei dice che è pazza, che è pazza di me
– Cosa credi succede se tu mi lasci? –
Non ci avevo pensato. Chi mai ci pensa.
L’anestesia ha fatto il suo corso.
La morte le ha stretto la gola, ha preso il cuore.
– Mi sono suicidata, sai -.



Andarono via.
Partivano da una vita fatta di pesca e di sale,
di vento, di barche e mattini da ammalare.
Lui aveva in tasca un amuleto,
di quei piccoli ninnoli dal viso di bambola.
Lei aveva niente, se non l’amore per lui.
Decisero di non fermarsi più,
nessuna stazione, nessuna necessità.
Avevano abitato tutte le angosce.
Cercavano una prima illusione.




Sfoglia pure le pietre,
gli angoli magnifici dei piccoli giardini,
il treno che rallenta nel centro città.
Dall’alta parte c’è il mare
e ti chiedi se valga la pena
di convincersi ad amarla.

E poi quest’angoscia mi serve,
sto malessere che corre per tutta la vita,
questo amore fra me e te ma senza di te.
Mi serve a scrivere o appuntare,
altrimenti cosa rimane.



Rapidi cambiamenti del
nuvole sole paesaggi.
Non è incoerenza.
È che stiamo cambiando,
e ci spaventa.



I giorni son tutti uguali qui,
in questa nebbia.
Passi inconcludenti, passaggi.
La tristezza mi avvolge come un cappotto
che non riesco più a togliere.
Piccola mano lasciata.
Eran belli quegli anni d’amore
che mi donasti.
La vita che adesso avvicina
alla morte.



Che è sera me ne accorgo
quando guardo dal finestrino
e non vedo che me stesso.




Fuori ci sono autostrade, eucalipti, case,
impiegati sopraffatti o vincenti.
Ma io non so che farmene.
Rimango a guardare all’interno,
semmai nei tuoi occhi
ci sia il brutto o il sereno,
se mi ami o non mi ami.
Le cose si illuminano quando mi guardi.
Poi tramontano in fretta.



Quando saremo vecchi e potremo appendere le maschere,
butta via il bilancino del contabile, il taccuino
– è dieci anni, quant’è durata, prima tu, prima io -;
dammi segnali inequivoci, un bacio sulla bocca
una mano tra le cosce, oppure sparisci.
Dopo gli anni di freddezza non basterà un emoticon
a salvare l’amore.



Il mare si è ritirato.
Non serviva più d’altronde.
Chilometri e millenni di bagni e di vacanze
sbracciate caotiche scordate.
Sotto c’è il profondo che mai nessuno esplora,
la ricchezza che include l’abisso, la solitudine, la perdita.
Tutto questo non serve.
Basta il bagnasciuga, dove la vita è quasi vita,
l’amore è quasi amore, quasi mare.



Adesso che appena mi giro
incontro il tuo sorriso,
adesso che appena son solo
mi abbracci e mi strapazzi,
adesso che m’insegui, mi chiami, mi baci,
adesso finalmente tutto è gioia, tutto è vita,
e io non so più scriver né morire.



C’è rimasta la musica.
Quella comunque rimane.
Può essere un ricordo
una ninna una preghiera,
oppure quella notte in cui godevi
e poi piangevi.
C’è rimasta la musica
di ciò che eravamo.
Anche il battito del cuore
può essere un canto.



È stato bello quello slancio, ieri sera.
Ho trovato le tue braccia attorno al collo.
Mi hai stretto a lungo, per essere sicura che ci fossi.
Potevo sentire il profumo,
la massa dei capelli, la punta dei seni.
– Grazie, è un bellissimo regalo – hai detto –
Il libro lo leggerò -.
E poi il sorriso, non l’addio,
perché niente è già successo. O quasi.



Sta in piedi, nuda,
accanto alla finestra della cucina.
È sera, la camera è buia.
Non c’è nessuno.
Accende una sigaretta,
imbraccia una chitarra,
fa un passo di danza.
Piange, ride, canta.
Proprio come fosse per strada,
e ci fosse una festa,
e qualcuno l’avesse invitata.



Vorrei fosse domani, per abbracciarti.
Presto, vieni mio sole,
toglimi l’angoscia di questa notte.



Tutto il pomeriggio a guardare le foto.
A metterle in fila, una dopo l’altra,
qualche occasione, qualche giornata, un Capodanno.
Come se metterle in fila servisse a riviverle.
È questa l’illusione.
Meglio se ti butti in qualche vicolo del centro.
Affidala al caso questa sera.
Un colpo in faccia o due cosce che si aprono sul letto.



Ecco la primavera.
Una primula è comparsa sul mandorlo, bianco.
Ha sfidato l’inverno del cuore.
Forse cadrà, ma intanto ha portato, per prima,
la verità.



Abbracciarti. Restare a lungo, stretti,
con gli occhi chiusi. Tu sulla punta dei piedi.
Io con le braccia sui tuoi fianchi.
Siamo rose perdute una nell’altra. Dischiuse.



Vorrei chiudere gli occhi, lentamente.
Guardare sul fondale delle palpebre i ricordi,
che sono tanti o son pochi, ma son patria e ricchezza.
Vedrei passare le vele di mio padre e mia madre,
finalmente amanti, la prua delle arti,
la marcia festosa dei piccoli compagni di infanzia.
Tutte immagini che in fretta svaniscono.
Perché ci è impossibile gioire ancora un poco.
Costretti come siamo tra le pietre e l’odio.




Abbiamo preso una stanza con vista sul mare.
Non sapevamo come iniziare.
I grandi hanno i loro percorsi, da cima a fondo,
passando dal centro. Ma noi siamo bimbi.
Nemmeno ci spogliamo.
Seguiamo la rotta invisibile dei baci, degli sguardi,
del pianto che scoppia all’improvviso.
Restiamo così, a lungo, parlando del silenzio,
tacendo l’ordinario.
Restiamo nascosti nella camera ad ore,
perché gli altri non debbano vergognarsi
della vera nudità dell’amore.



E poi, il giorno è bellissimo oggi.
Tu sei nella stanza, ginnastica,
noi stiamo studiando il violoncello,
e i vecchi, i bei vecchi, sorridono alla tele.
È che abbiamo fiducia, io e te,
abbiamo il tempo e l’amore dalla nostra.
Crediamo all’invisibile, perché il male s’è già visto.
Crediamo all’invisibile perché siamo già altrove.
Ci diamo appuntamento con l’amore,
quando il debito col mondo l’avremo espiato.



Dai, vieni vicino. Stammi accanto,
teniamoci la mano.
E dopo, stringiamoci forte, baciamoci,
perdiamoci in carezze.
Soprattutto queste, che avvolgono la solitudine,
e scrivono un rigo alla volta
l’amore che verrà.




Vicino, sei seria, tenace, temprata.
Dagli occhi, sale una vita che non è andata come volevi.
Ti prendo per mano, ti metti a tremare,
invochi un abbraccio, una carezza, qualcosa che riscatti.
Per questo, prego i migratori di venirti a cercarti,
prego tutti i fiori di portarti la gioia,
prego il suonatore di violino, si prepari.
Lo sposo verrà.
Ti porterà oltre i ricordi che puzzano di farmaco.
Dove il cuore trema ancora, al primo bacio.



Vento, sono pronto.
La bellezza cadde via tempo fa.
Cadde il lume per orientarci.
Dovetti stendermi per terra per essere accettato.
Poi caddero le braccia per lo sconforto.
In ultimo il cuore, per troppa gentilezza.
Adesso son pronto.
Non ho più posto qua.
Troppo grande il mondo per me.
Troppo grande l’amore.
Vento, sono pronto. Andiamo.
Qualcosa di me cadrà lontano,
in altro tempo. E forse.



Andare in altalena.
Volare in alto, sentire il vento sopra gli occhi,
la gioia. Poi scendere,
attendere le mani che ti spingono di nuovo,
sorridere a un ritorno che non è più solo rinuncia.
Andare in altalena. Questa incerta felicità,
tra mare e nostalgia, andata e ritorno.
Un punto preciso che oscilla qua e là.



Costruiamo un’arca. Io e te.
Mettiamoci dentro le cose importanti
che abbiamo costruito.
Portiamo gli amici, le madri, i padri, i figli.
Mettiamo nella stiva gli errori più gravi,
le menzogne, gli abbandoni, per non dimenticare.
Salviamo qualche giocattolo, qualcosa che appassioni,
qualche ausilio per navigare.
La fiducia, la complessità, l’arte.
Seguiamo la rotta che abbiamo da sempre,
l’assenza di rotta,
quel modo di andare piegando, sbandando, virando.
E poi chiudiamo gli occhi, lasciamoci guidare
dall’istinto, dal desiderio, dal sogno.
Perché gli amanti hanno i baci e le mani
per scampare al diluvio, e scoprire l’ignoto.




Voglio stringermi a te, d’estate, sul letto disfatto.
Sentire il tuo seno e il tuo ventre su di me.
Allungare la mano, cercare una carezza,
e sapere che appena più in là trovo l’anima.




Da sola, davanti allo specchio,
mi chiedo se l’altra era meglio,
più bella, più libera, e se t’incantava.
Noi brutte siamo così. Non voglio niente.
Dico che ti amo, devi esser come sei.
Ma ti prego, mio principe, almeno una risata,
una bugia, un’illusione.
Almeno qualche briciola, di questo amore.



Tana libera tutti.
Si diceva così da bambini,
quando l’ultimo schiaffo sul muro ci librava.
Pure adesso è così. L’ultimo schiaffo mi ha liberato.
Me ne andrò da questo mondo in cui sono un estraneo.
Tornerò ad essere vento, ad essere outis.
Potrai dire che nessuno t’ha mollata,
nessuno ti ha amata.
Io sarò altro, finalmente.
Una musica alla radio. Una casa di vacanza.
Qualcosa nell’aria.




Apocrifo è l’amore,
come il segreto negli occhi danzanti,
come il bisogno di averti vicino,
come il desiderio che tu mi stringa più forte
ogni mattino.
Non so dirti quale gioia mi dona il tuo sorriso,
non so dirti quanta forza m’infonde la tua mano.
Vorrei gridarlo questo amore, dappertutto:
è vero, è vivo, è eterno!
Ma gli occhi di un bambino sono fragili,
e ho paura che si accechino nel sole.
È apocrifo l’amore.




Come son belle le primavere, quand’è tempo
di morire. E com’è bella l’estate.
Le porte aperte sui balconi, le cicale,
i letti sfatti dei bambini, ansiosi di scappare.
Mentre noi vorremmo stare così.
Fianco a fianco, l’uno all’altro.
Scivolare nel sonno, pure noi, beati.



Adesso basta. Vorrei dirti un milione di cose.
Parlarti del futuro, di un’altra gita al mare,
della piccola che impara il violoncello.
E poi che ti amo, figurati, se voglio stare fermo.
Ma occorre metter punto, prima o poi.
Qualcosa che prepari alla morte,
che dia senso al tutto.




L’amore è un volo. Sempre incerto.
Spiccare il salto e volare.
Oppure stramazzare sul suolo.
La formula è oscura. L’amore si nasconde.
Non puoi prometterlo.
Puoi solo impegnarci te stesso.
Sperando nella sorte,
e che lei faccia lo stesso.




Sono partiti con l’ultimo treno.
È quasi giugno, quasi estate.
La scuola sta finendo, potranno riposare,
andare lentamente tra i pini che costeggiano il mare,
fermarsi ad annusare la resina e l’origano,
l’odore di percoche rosse e gialle.
Potranno concedersi l’incanto.
Quel tempo di vita in cui chiudi gli occhi
e la fortuna arriva.

L’amore apocrifo, poesie gennaio-dicembre 2021, di prossima pubblicazione

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