Nel corpo tuo rimorso. Poesie, 1986-2002.

Autunno

Autunno

L’albero spoglio
le foglie

Lontano ancora un giorno abbuia
L’ultimo uccello riparte

















La notte ha consumato

La notte ha consumato
un’attesa di stelle

Dolore di cose passate
di cose non dette
di veglie e penitenze

Sto
come la vite
all’olmo crocifissa

















NEL CORPO TUO RIMORSO

I

Giorno dopo giorno
l’immenso che sprofonda in gelida fessura
il sibilo che usura l’interno e che effondeva…

II

Stabat mater bellezza e ombra della follia
e specchio giunto era il tempo che io nascessi
al lontano cammino dal lontano dove
ricurva e dolente inghiottiva l’orizzonte
ma inoltrandomi a notte e nel remo la paura
che il respiro della laguna sperdesse la rotta
colmasse la misura

III

Non posso fermarmi mi dici a una stazione
perché è a ritroso il mio viaggio già state
cucine semibuie seminferme corride di grida
latranti liturgie e dentro lo spasmo convulso
del sangue nel giugulo nel morso l’agonia
no non posso fermarmi voltarmi a ricordare
dare nome all’inaudito meglio per me l’amaro
masticare di chi non errando giudica l’errare
meglio l’amore quello normale ossia
tradire discutere se sei solo mia
e insieme accusarti del limite morale
tu stesso diviso tra bene non male
ridotto a puro avverbio il dopo e il prima

IV

Proprio vero è l’inganno il tuo logorio
verità o bellezza bellezza o verità
dimmi le cose che conoscere dovrei
e che nuda mi stringono al segreto degli altri
con cui te ne vai me in corda
alla fonda di ogni tuo umore
ma troppo sei bella ch’è alibi e dissuasione
quando il conto degli anni mi chiedi
con me sprecati tra omissis e viltà
e le altre maldicenti quella puttana
che pure col mestruo lo fa’
pardon la tua giovane età

V

Per quel poco che mi dai quanto ti perdono
ciò che insieme coniughiamo
figgere croci attender punizioni e ancora
ambivalere non vocare non potere non mai profferire
che amarti avrei voluto per le strade d’ogniddove
solamente accarezzarti e dal fondo dei tuoi occhi
col respiro dei tuoi giorni una volta adolescente
divenire indecente confinato all’infinito del tuo prato
né rimpiangere quanti anni ci dividono in coscienza
o nel corpo tuo rimorso tuo tutto presente
l’antica che inabissa e che riemerge
ventura prigionia in cui mi tenevo
una volta amore vero

VI

Misera insostanza del dolore rasternato
se al raptus ex o propter uno è sospinto
oppure se all’equivoco che crescere comprendere
il dolore del mondo significhi risolvere la colpa all’incoscienza
assolversi che il male con gli anni appena segna
ed è già via già l’oltre-galleria
quando al vero ritorno di questo viaggio
fra cose secondarie e necessarie
non dipinto né racconto solo viva continua
recitata malattia di un tempo di vergogna e di follia
quando il corpo profanato giovanile…
ma eccoci in stazione – mi distolgono le hostess
in completo verdeblu sempre pronte al bel sorriso –
sì grazie un caffè riprendo un giornale
che non leggerò

VII

Così così lontano dalla casa impossibile
nel corpo di passione irremissibile bellezza
ben oltre il confine di materia e di giudizio dirti
semplice banale mia stessa giovinezza
vorrei che le ferite più dei versi dicessero
che per te me ne andrò quando tu te ne andrai
invaso il cuore dai tuoi fantasmi
lasciate le dimore che avremmo abitato
e questo diario che tu scrivi non per me
e che io insanguino per te

















IL VIAGGIO IN NORMANDIA

Per noi che partivamo
lungamente sospinti a una prossima estate
dalla neve sulle giacche dal vento dal sale
per come era pesante la schiena
e incurvata dal passo in solitario
già il nome Normandia invitava al sorriso
stringeva di speranza la mano al finestrino

Appresi alla cornetta il tragitto del viaggio
dal Nord alla Baia affondando per vigne
come dire negli anni un ritorno di affanni
un ripetere a memoria una storia d’appendice
che in qualche scaffale
e insieme annotare quanta infanzia era invissuta
quanto è inutile sorprendere ogni angolo
che s’abbia di case di pietre
tra fumi di stalle e vapori di falesie
se insieme ci si allena e ci si tempra al disamore

Ma era questo il sottinteso
completare il sussidiario con te che non parli
e che pure non ignori il vuoto spalancarsi
l’angoscia di fissare infantile in qualche foto
tutto il mondo inafferrato
che pure e ancora amiamo

Due possono viaggiare se possono incrociare
chi il cammino fa in ritorno,
i visi patriarcali silenziosi ma felici
magari aspettando che l’umido si levi
del dopo temporale

Guardavo al mattino l’orizzonte di Etrétat
strette cale d’inverno dove il freddo si scioglie
sui ricami all’uncinetto dei vetri d’albergo
sul profondo tuo dormire – pensavo
sia felice almeno questo –
e finalmente ero sereno
finalmente ero un gabbiano svernato
in quell’oceano

La donna della vita rincorsa
per le strade tra Caen e Rouen capelli biondi o neri
– è chiaro ha già sorriso è proprio qua vicino
e noi che la guardiamo ebetiti immaginando
soltanto per scherzare non certo per guastare
quel viaggio in Normandia di amaro e nostalgia
che in fondo ci piaceva
e che tutte le sere a tarda sera terminava
tra sbuffi di Gauloises e stecche di biliardo
su cosa s’è sbagliato e poi chissenefrega

E il viaggio il miraggio tutt’era inconfessato
pareva uno spettacolo spianato
giallograno verdefoglia rossoterra
e infine quel mare dove un giorno arrivammo
l’insegna del Martini la piazza la spiaggia
e lei che m’attendeva
guardando l’immenso l’azzurro
del mare di Denneville

Mesi e mesi di amore scavato nella carne
ero forse un passante nel tuo giro di morte
fingevo ma ti amavo davvero ti amavo
quando all’angolo del bar tremando mi dicevi
je sais qu’on s’est passé quelque chose
qu’ici s’est partagé…
quando a un mare lontano
e forse non a caso ti ritrovavo
sulla mia strada

Capace amico di incoscienza
sii testimone di questa ricerca
sassi raccolti su scogliere di granito
fari notturni alghe di scarpe
reti da pesca e ostriche e vetrate di bar abbandonati
maree e ritirate di spiagge e di falesie
sii testimone di quanto ho annaspato
del lavoro operoso senza salario
cazzate e risate e imbuti improvvisi
di scale e di silenzi

Tu eri là
incarnata libertà che avevo sognato
e che il mare levigava
senza il coraggio di avvicinarti
ma nel cuore la certezza che giammai
avrei scordato qual mare di Denneville
dove l’ultima volta ti avevo amata
e lasciata nel tuo male
al mio ritorno

L’uomo che ha deciso di condannarsi
così riparte
con quel poco di dolore lasciato
a un’altra volta e quel poco di gioia
– vedrai le scriverò
né spezzerò questa corda di vene che ci unisce
e poi potrò tornarci se una volta è già stata

Così la Bretagna e la Bassa Normandia
invitavano al calore del ricordo
fissavano un estremo al ritorno da grandi
con mogli sicurezze e l’incerto retrogusto
di un vino mal scelto

Ciò che andava cercato era tutto
raccolto in un angolo di casa dal tetto spiovente
di travi e di abbaini
sotto un manto di coperte
nel sonno che sorprende
mentre si ride si parla e un po’ si straparla
di donne e di avventure

E noi eravamo noi proprio i pellegrini
senza fiato a piedi nudi nelle sabbie di Genêts
traversanti la Baia che invece a un monte
sospeso guardavamo come all’ultimo traguardo
al vero da capire
un poco ingannandoci
tenendoci per mano

















LA NOTTE CHE ETEREA EFFONDE

La notte che eterea effonde
creando e disfacendo il calice del mondo
l’infanzia che incombe ricorre nell’ombra
eppure non s’arrende davanti al tuo portone
il giudice che addita
la croce e la delizia del paradigma
non dolo non volo eppure bisogna

Bisogna glielo dica – solo questo aspettavo
mentre lasciavo la soglia della casa
l’interdizione antica stampata nella carne
che il figlio non possa più in alto del padre –
e lei che così morbida vestita nel bianco
assolato dei vent’anni che ormai da più giorni
all’uscita di scuola aspettava l’estate
del primo bacio dei pugni chiusi – pensavo
Signore quale distanza commette l’amore
me così in guerra lei così serena

Mio amore mio nel sogno
ho troppe e troppe cose da dirti insospese
sul filo dei secoli che ho dovuto annodare
viaggiare più veloce delle cose che sfuggono
di te che scendevi nell’ileo del sogno
di me che sul bivio ogni volta esitavo
chi sono o chi ero ma se uno all’inizio
sei felice – avesse chiesto – ch’ero troppo e leggero
e che un giorno avrei pagato

La tua follia dischiusa al sorriso
improvviso che uno al primo amore
dimostra incosciente paradiso di colori rosso giallo
e l’umido tra i petali che s’aprono sbocciata svelata
in quel lenzuolo sulla spiaggia che morbido avvolgeva
tutto il bello del mondo
e più non c’è altro bisogno né credo
sei tutto il cielo – avevi detto
le braccia levando mentre ti stringevo
mangiandoti a sbafo sentendoti gridare
affermare al tuo culmine

La tua follia di quando correvamo
vogliosi ed impazienti le scese del tuo parco
e sotto la cerniera fremente del tuo Levi’s
dicevi – non c’è niente baciamoci per strada
nel cinema all’aperto in un angolo alla metro
bagnati di pioggia d’estate ed avventati
dimènticati il padre qualunque cosa sia
è nostra la vita

la nostra follia sfilata sui sedili
la gonna e la camicia l’esposta frenesia
tu nuda e sfinita bellissima e nudata
di che l’amore sporca
di scrupolo e vergogna
ch’è adesso che ti amo e sei tu la mia gioia
presente mia storia che in te si rinnova
per cento e mille notti
ch’è adesso che ti amo
mia terra e paradiso soffiato tra i capelli
tra i seni e le ginocchia
che sfioro discopro risalgo in cui mi perdo
e tutto era insieme tua gioia mia gioia saziate
ugualmente ché ancora ti amo davvero ed ignaro
se per il tuo nome di interno berlinese
o per la mia attesa che ti aveva creata
segreto immarcescibile di colpa e di pulsione
vita aggressione

La tua follia scappare via
che importa a Milano che sia il teatro
sia la poesia sianche il diavolo
ma lasciami un figlio che almeno ricordi
che porti i tuoi occhi

Mio amore disperato e tua follia
non ero più niente eppure esistevo
per tante e tante lettere per ore al tuo telefono
– anche l’amore vi avrei fatto –
anche l’orrore l’amputazione di camere ostetriche
l’incesto la dilazione del padre della madre
qualunque copione che tu mi cucivi perché ti divertissi
perché corrispondessi a come mi volevi
– l’avessi potuto mi sarei annullata
anche per te avrei pianto
quando mi tradivi iniettandomi veleno
quando pure ogni tuo bacio per me era il primo
il giorno dopo al mattino dal fondo di memoria
se solo mi chiamavi e mi prendevi
ma lasciami un figlio che viva per sempre
e che ci sia

La tua follia normale incontenuta
che il tempo annullava che il corpo e la vergogna
che infanzia infondeva per sempre ed ancora
era quello che cercavo io ero tu eri
mito incarnato riscattata morte

Franzi mio amore
non posso arrestarmi di chiamarti di sognarti
non posso che amarti in ogni terra sconsacrata
cui il vento mi spinge di insania di nevrosi
in cui ti cerco stesso corpo stesso nome
metro di misura di altro amore
pietra miliare sulla strada che ho corso
creando e disfacendo ciò che è stato interrotto
dalla tua morte e più non so vivere
il mondo è svuotato la pagina bianca
penosa ricerca il lavoro ben fatto
inutile un’altra
impossibile amore

Se uno muore è già morto
se uno ama è già amato
ma i miei giorni passano nel dubbio
che forse avrei dovuto rincorrerti all’altare
rincorrerti a scuola rincorrerti ancora
e non questa corsa finita nel mezzo degli anni
del corpo mezzo dentro mezzo fuori
nato morto morso rimorso
gioco dovere l’asfissia l’aria
tu ed ogni altra

Se ci penso quale condanna
farti fuori per amare
dover scrivere per vivere

















Ho aspettato immobile

Ho aspettato immobile
che il telefono squillasse.

Vetri
muti frangenti
e il freddo silenzioso

















La prima volta su questo mare

La prima volta su questo mare
avevo vent’anni

e già ti disperavo

















Si corse lungamente

Si corse lungamente
sul verde
a piedi nudi

Prese un fiore dischiuso
un profumo

lo schiacciò

L’amore gli apparve
violento e leggero

















Bisogna conoscere la morte

Bisogna conoscere la morte
e ponti e notti traversato
con il piombo nella gola
del tuo nome da ingoiare

Bisogna conoscere la morte
blu cobalto alle rotaie
del turnista che al paese e che il culo
di quell’altra nella vigna e questo male

Bisogna conoscere la morte
per le camere d’albergo né bagno e senza nome
e il padre fuggire fuggire l’onore
aver scritto parole sottratte al bel sonno
giorno dopo giorno per testimoniare che

Bisogna conoscere la morte
per sapere che l’amore è tutto ciò che resta
dopo ogni maceria e che un bacio qualunque
vale più di un incanto è una scala nel cielo
che scioglie l’autunno
svapora inatteso

Bisogna conoscere la morte
contro il vuoto degli anni
nella casa destinati tra i figli concepiti
per starsene tranquilli

Bisogna conoscere la morte
nell’attesa dei tuoi occhi
perché quando mi riemergi dicendomi
dal buio che ancora mi ami
e che ancora di nuovo per sempre mi chiamerai

Bisogna conoscere la morte
per sapere che l’amore è solo ciò che vale.

















Piccola imperfetta

Piccola imperfetta
notte distante
irrisolta dilatata
scherzo terrore
moglie né forse
ogni volta l’altrove
fiore inviolato raggiunto
perduto sfuggita leggera
voltata di schiena
la fretta dei mattini
i figli gli asili
stanca franca
afasica vulcanica
fresca sorpresa
imprevisto e sorriso

forse domani
mi ami ti perderai

















Che tu mi abbracciassi

Che tu mi abbracciassi
correndomi incontro
col vento e la follia

e che mi dicessi
che è solo il mio freddo
perdendomi nel corpo

o che almeno non posso
tremando nella voce

















Per fame o per istinto

Per fame o per istinto
l’amore va consumato
ghermito nel balzo alla gola
e dimenticato

e non quest’agonia
del volo sorpreso e non finito
questo supplizio
di stare a guardare

















Insomma siamo amanti io e te

Insomma siamo amanti io e te
il che vuol dire stirare celebrare mentire
qualche volta
o anche tranottare da solo con sogni
ed amarezza
per quella differenza che scorre appena
tra il verbo e il sostantivo
tra vivi ed esser vivi

















Vicino sei come la crisalide

Vicino sei come la crisalide
incerta nella muta invernale
che all’albero rappresa si rinnova
da quel penoso vivere invernale

E basta non ti sgretoli il Favonio
scagliandosi sull’ala tua dorata
che a tutti porti libera magolia
un po’ di tua allegria e vanità

















È troppo ciò che chiedi

È troppo ciò che chiedi
trent’anni di sogni che scorrono
nel sangue di pene e di promesse
a tuo nome da assegnare
senz’altro contrattare la sera
che un mezzo finto orgasmo
per me e forse manco

















Torna da me per un momento

Torna da me per un momento
ti prego fa’ finta – chessò
per sacrificio per rimorso
– dammi un bacio una promessa
una volta per lo meno
fai finta d’esser me

















Vecchia darsena lunare

Vecchia darsena lunare

Mute sagome di barche
brevemente si salutano

si perdono nel mare

















Le undici

Le undici
Sono rientrato
Le solite riviste sul tavolo
noiose
la mosca sul vetro
finalmente tacitata
e il fiore tuo sfiorito
a cui mi rassomiglio
tentando di resistere

















Ho chiuso gli occhi per un istante

Ho chiuso gli occhi per un istante

Dieci anni passati
e non un fiore spensierato

















Dici che dovremmo chiarirci

Dici che dovremmo chiarirci
parola per parola, punto per punto,
è stupido buttare dieci anni così,
senza spiegarsi. D’altronde la voce
scioglierà questa tensione,
ci farà più accorti, più pacati finalmente.

Fuori nevica.
Guarda, di là della finestra
è un silenzio di rovine.

















Non ricordo come finì in quell’occasione.

Non ricordo come finì in quell’occasione.
Doveva essere settembre, ore diciotto,
fine turno. Si avvicinò alla vetrina illuminata
dal neon, perché fosse più chiara la lama
dei suoi denti: credo che non… ti amo ma…
non è come credi…
Fu un brivido appena.
Mi guardai nella pozza dell’asfalto.
Mi era forse sfuggito l’inizio del discorso
o i sospensivi. Hai il rossetto sbavato
– soggiunsi.

















Il vero diamante è quello nero della notte

Il vero diamante è quello nero della notte,
quando il resto scompare e ci restano le cose,
le statue ormai vuote di noi che non parliamo,
tutto fissato, immobile, dita, labbra, lenzuola,
forse anche una farfalla, rimasta sulla bocca
come una domanda.

















A volte passeggiamo, io e te

A volte passeggiamo, io e te,
per qualche strada, di qualche città.
Non vedo niente io,
troppo angosciato dal tuo viso, troppo legato.
Non vedi niente tu, troppo lontana, leggera:
ti volti, sorridi, cambi passo.
Fermati amore, considera il baratro,
guarda le mie mani, ferite per tenerti.
Sii dolce. Il vento precipita gli aerei.
Abbi cura di te.

















Amare è inoltrarsi, uscire in mare aperto

Amare è inoltrarsi, uscire in mare aperto
senza bussola, senza cognizioni,
attendere a un approdo di là della speranza
a un incontro, di là della ragione.
Il resto è sofferenza. Tutt’al più.

















Nel corpo tuo rimorso, poesie 1986-2002.
Crocetti Editore, Milano 2002

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