Prepararsi alla fine. Poesie 2022

Qui il viaggio finisce,
perché ogni viaggio finisce,
e occorre prepararsi.
Lasciare la piazza del borgo
in cui si è stati felici, aperta sul mare
graffiata dalle voci degli amanti.
Andare verso la scogliera
dove il mare si chiude tra due ali di roccia.
Lì lo sguardo diventa piccolo,
il tempo sembra fermo
e grande è il silenzio.
Perché il viaggio finisce,
e occorre prepararsi
alla fine.





Stasera mi tieni la mano,
mi carezzi come una bimba,
forse avvertendo la fine vicina.
Il locale è superbo,
l’estate, la cena, gli amici di sempre.
Io sono lontana, angosciata.
Cammino sopra un ponte tibetano,
mentre parlo sorrido rimpiango.
La mia storia è minima.
Non so dove vada, verso il buio forse.
A trovare Orfeo, sperando che lui almeno
si accorga di me.





Com’è bello quel bacio,
ieri, a teatro. Dolce, inaspettato.
Hai indugiato sulla mano come una farfalla.
“Guarda che ti amo” – m’hai detto -.
E i miei occhi si son chiusi nuovamente,
per sognare.
Sognare che un giorno troviamo l’amore io e te,
nel cielo dei giorni che adesso ci invitano,
e che il buio non ricopra i girasoli
che attendono la luce.





Non ti vesti più per me, si vede.
Una volta ti svegliavi appassionata
e le gonne più belle, le stelle
rivestivano il tuo corpo.
Adesso sei sbadata.
L’amore è passato, quel fragile papavero
che poco perdura è soffocato
dal grano, dai fagioli, da cicorie.
Così arriva la fine, senza ragione,
nel ciclo naturale di ciò che nasce, vive
e muore.




Le sedie vecchissime di vimini,
lasciate in campagna,
un asse anni ’50 coperto da una cera,
rossa e bianca.
Il vino, le fave, il pecorino.
Le voci degli amici e le cicale,
le lampade gialle, i fichi, le zanzare.
E tutta l’abbrezza di amarci ancora
dopo un secolo,
l’ebbrezza di trovarci a raccontare
che la fine vissuta insieme
non è il finale.




L’ultimo paesaggio che avrò negli occhi
sarà quel giorno in cui mi hai fatto entrare
dentro di te, nella camera sul mare.
Tu eri l’incarnata libertà che avevo sognato,
e io, chi ero? Mia figlia, mia moglie,
gli amici i fratelli le madri e i padri,
tutti quelli con cui io stavo in pace.
Ti ho chiesto se c’era un posto
in cui trovare senso, in cui sentirsi amare.
Hai chiuso gli occhi, m’hai fatto entrare.




Scrivendo sul muro
ho provato la durezza dei mattoni, le asperità,
le schegge di vetro che tagliano le mani.
Volevo scrivere il tuo nome,
come si fa a diciott’anni per non dimenticare.
Poi le cose son cambiate.
Era troppo difficile impegnarsi nell’amore.
Son rimasto a guardare contro il muro
la bellezza delle lucciole.




Mia madre è lì, sul divano,
la vecchia.
Guarda dai vetri il suo nulla
e chissà se ricorda,
se ancora ci crede all’amore,
alla gioia dei figli,
se ancora ci spera.
Tu entri distratta, la superi in fretta,
come la vita d’altronde, come il tempo,
non saluti, non la vedi.
Così fa la morte – mi dico –
ignara e sleale.
Non guarda, non ride, non abbraccia.
Prende, non ringrazia.




Non lo vedi che quel lume è troppo debole,
lì, sull’angolo del tavolo addossato alla finestra,
al cielo che scurisce o che fa festa? Spegnilo,
seguiamo l’orario dei vecchi che cenano presto,
di modo che si abbia un po’ di tempo
per credere negli angeli e metterci a letto.




Estraneo, lo sono sempre stato.
A partire dai compagni di classe
con cui mi strapazzavo, studiavo o cazzeggiavo.
Mancava qualcosa per esserne parte,
un animo illeso, una gioia ereditata.
Eppure, qualcuna mi ha amata,
e questo per un poco ha annacquato la distanza.
Poi si sa, gli amori imbruttiscono,
l’amico sparisce, i figli fanno guai,
ed essere estranei significa trovarsi da soli
in un mondo di dinosauri.





Mi piacerebbe diventar vecchio
andando per borghi, per luoghi già stati,
per mari e poderi che una volta ho visitato.
Mi piacerebbe andarci d’estate,
nell’ora in cui la gente dorme,
e non senti che cicale.
Mi piacerebbe pranzare su un tavolo piccolo,
un pezzo d’agnello, un bicchiere di vino.
E stando seduto, ciarlare coi morti,
mio padre, mio zio, l’amico più caro. Ecco.
Mi piacerebbe diventare vecchio
come un pezzo di pane lasciato sul tavolo,
tra gli avanzi ed il resto.





Ho trovato il cammino a poco a poco.
È stato lungo, faticoso.
Ogni amore, ogni padre, ogni amico
ch’è mancato mi ha reso più vuoto.
Sono quello che è rimasto di me,
mettendo parole una sull’altra,
per colmare la falla.
Appartengo ai poeti adesso,
ma è un vortice di anime
che si amano perdendo.





Mezzogiorno. Rintocco di campane.
Per strada c’è il vuoto, il deserto.
Lei guarda dal balcone rovente di un’estate.
È in abito da sera, elegante.
L’altro è seduto su un gradone della chiesa,
in giacca e cravatta, all’ombra di un lampione.
Non si aspettano più niente.
Si preparano alla morte.





Devi arrivare alla fine per dire chi sei,
se hai amato qualcuno,
se hai creduto in qualcosa.
Devi arrivare alla fine per dire
se è bisogno o passione.
Prima, il caso e la fortuna ti confondono,
e puoi solo sperare di arrivare
fino in fondo.





Parlare di te,
scegliendo i precetti più veri,
silenzio, perdono, assumersi il torto.

Attendersi. Fare posto all’ignoto.

Tenersi per mano ogni giorno,
anche dopo.

Non scordare. Da te ho appreso l’amore.
Non smettere. Da te ho preso a resistere.
Ringraziare.

Chiudere gli occhi, e venirti incontro.





Scrivo, sul taccuino della notte.
Le voci basse, le luci fioche,
poco o niente da svelare.
È così che impariamo a inoltrarci
nel mare, nel buio, nel tempo.
Precede la morte, la fantasia.
e il tuo amore, vita mia,
è la guida per l’eterno.





Guardo la scena da lontano. È estate, ora di pranzo.
Siamo al tavolo del nostro ristorante,
una di quelle volte in cui stiamo insieme, tu e io,
e ridiamo, giochiamo, ci stringiamo, amico mio.
Il Bene siede in mezzo a noi, con sua moglie Felicita.
E il tempo passa spavaldo, sfidando pure Iddio.
Guardo la scena come fossi lontano,
da un balcone, un proiettore, un aeroplano.
Adesso che non ci sei più, le cose sono memorie.
La Morte ci caccia dal tavolo, come a dire –
andatevene, basta, altra gente ha prenotato -.




Basta che tu volga lo sguardo,
e io mi sento perso,
come se qualcosa stesse arrivando,
qualcosa di angosciante, che mi fa sentire oppresso.
È che tu sei il ponteggio che mi àncora alla vita,
e se ti allontani, se sciogli la cima,
io resto una zattera,
che vaga alla deriva.





Se vuoi prepararti all’approdo
devi farlo seriamente,
altrimenti corri il rischio di affogare.
E il segreto è far le cose lentamente,
rileggere ogni pagina di quello che hai scritto,
rigo per rigo,
considerare il bene che hai fatto, dall’inizio.
Su tutto, provare l’amore che hai dato e ricevuto,
gesto per gesto, minuto per minuto,
in modo da comprenderlo più a fondo.
E forse così puoi giungere sereno nel porto.





Ci si potesse ubriacare prima morire
sarebbe bellissimo.
In fondo l’incoscienza ci rende più veri,
capaci di concludere,
e in fondo c’è sempre una crepa nel muro
grazie al quale anche l’oscuro ci pare prezioso.
Oh, sì. Potessimo sciulare nel bel mezzo di noi stessi
saremmo tutti ragazzi, poeti ed amanti.




Il balcone è spalancato. L’aria stenta a entrare,
come in chiesa quand’è estate.
Mia madre è sul divano, invecchia qui accanto.
Nessuno di noi ha più voglia di parlare.
Tutto quello che c’è stato adesso è nelle cose,
disposte per casa come in un quadro,
– il vaso di gerani ormai sbeccato, un cesto di frutta
sul tavolo, un avanzo nel piatto -.
Così diventa l’amore, tra due anime dannate.
Una sacra natura morta.





Se è vero che mi ami, non dirmelo più.
Le parole stancano. Tutte già usate.
Usa le mani, le braccia, la bocca.
Stringimi, baciami, sorridimi.
E soprattutto, apri gli occhi,
fammi entrare.




Metti in tasca un fiammifero,
ti servirà a ritrovare la via
se ti perdi di notte.
Tieni in tasca del sughero bruciato,
ti servirà a nascondere gli occhi
quando mentirai.
Conserva nella piega della tasca
una penna, un chiodo, una lama,
ti servirà a incidere sul muro il mio nome
quando lo scorderai.




La vecchia passa le giornate sulla sedia di vimini.
È il suo posto nel mondo, il suo nascondiglio.
Guarda la vita che scorre col suo saliscendi,
le voci dei passanti, e chissà se vede,
se ascolta davvero o si perde nel ricordo, demenza,
stanchezza.
Gli altri, le passano accanto con lo stesso falso zelo
– Stai bene zia Mè -? Se ne fregano.
È un centrino fuori moda, lei, un libro da posare.
Un libro di storia, quando la storia diventa
ingombrante




C’è sempre qualcuno che rimane per ultimo.
Quaggiù, si tratta dello scemo del paese,
quello senza soldi, senza figli né mogli.
È solo come un cane.
Passa il giorno al camposanto, non sa dove andare.
Noi morti gli sorridiamo, lo ringraziamo.
Spazza le foglie, aggiusta corone,
riaccende quei lumini che il vento ha soffocato,
e quando è l’ora di andare, viene a dirci buonanotte,
chiamandoci per nome,
come nessuno ha mai fatto nemmeno da vivi.
E noi lo salutiamo, come un fratello, come un amico,
come il prossimo dimenticato.




M’insegui con gli occhi,
come fanno i cuccioli in cerca di sguardi
o di amore.
Mi chiedi se finisce tutto questo,
come i cuccioli tremando,
quando i grandi se ne vanno e rimangono da soli.
E io non so se termina la strada,
o se potrò tornare.
Però ti lascio tante briciole per terra,
così puoi ritrovarmi, un’altra volta,
un’altra vita.




Il foglio bianco. La luce strana.
Sul tavolo, un bicchiere di aranciata,
bevuta chissà quando,
un’agenda ancora bianca,
il tempo fermo d’orologio alla parete,
una penna con cui non so che fare.
Oggetti che sanno di noia,
un mondo che forse una volta…
Una natura morta.




Oggi parto per le vacanze.
Non è più come una volta, lo sai.
Il mare se n’è andato,
la festa patronale ha disertato,
l’amico mio d’infanzia è morto presto.
Ma io parto lo stesso.
Vado a vedere i luoghi fantasma,
gli spazi deserti, i ricordi mancanti.
Devo scegliere il mio vuoto
per l’estate.




Udire il favonio tra gli alberi stormire,
vedere nei campi la danza dei papaveri,
sentire il profumo di pesche e di fichi,
avvolgersi dell’aria che si alza tra i capelli.
L’estate è un corteo di frutti magnifici,
di rossi e arancioni vivacissimi,
di essenze e di piaceri così intensi che tu cedi,
stupisci, t’immagini una vita
che invece svanirà.




Sul taccuino dei giorni infelici
metterò tutti i ritorni a casa,
dopo l’estate, dopo l’infanzia,
quando la luce si abbassa,
le ombre si allungano,
e sull’uscio di un inverno che non passa
ogni mattino ravviva l’angoscia,
ogni rientro acuisce la mancanza.




Il mare.
Il mare d’estate, il mare d’inverno.
Il mare che si agita e stanca,
che oscura e ruggisce.
Il mare da soli, senza ricordi,
senza più tempo,
senza ombrelloni.
Il mare e il mare.
Il mare e basta,
quand’è tempo di stare,
lasciar andare.
Il mare.




Sotto il tendone ce ne stiamo,
aspettando che il vino e l’amicizia
faccian la sua parte,
a spulciare il tempo e la memoria,
a trovare l’amore.




Addio.
Questa è l’ultima volta che ci vediamo.
Dopo, sarò nient’altro che una voce
per te, un soffio intermittente,
un pensiero, una roba qualunque.
Tienimi dunque,
come una rosa tatuata sulla mano
che avvicini alla bocca, distratta,
mentre viaggi lontano.





È il verso scartato dall’autore,
il brano eliminato dall’album,
è quello fatto fuori dal branco.
Così va il destino.
Però che peccato.
In quello scarto c’è stata la vita,
c’è ancora l’incanto.





Eccomi arrivato finalmente sulla cima.
Un’aurora mai vista, lo sguardo sull’oceano,
un sussulto mozzafiato, bah,
chissà che mi aspettavo.
E invece, il vento è ghiacciato,
le aquile reclamano carne e spazio,
la paura di cadere mi stringe il petto,
mi toglie il fiato.
Ogni volta che tocco il cielo,
capisco di esser fatto per il baratro.




Dammi la mano, amore mio, e dormi.
La notte ci accoglierà tra le stelle
se stiamo insieme,
il sonno sarà dolce, il risveglio porterà gioia.
Dammi la mano allora,
e stringimi nel sonno, stringimi al risveglio,
stiamo insieme, ancora.





Questo libro si ferma qui,
come si ferma un’estate, una vita, un amore.
Non perché vi sia più niente da vivere o da dire
ma perché semplicemente prima o poi
qualcosa deve, o capita, e insomma s’interrompe.
Si ferma il battito. Il mare si placa.
Un popolo migra, silenzioso. Cambia la storia.
E un giorno riprende. Se riprende.
Sarà emozione, verità, testimonianza.
Sarà nuova poesia, la vita.

Prepararsi alla fine, poesie 2022, di prossima pubblicazione.

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