Rosso. Interludio, 2018-2019

Sono un volatore.
Trasmigro tra le nuvole nere dell’oblò
quando il mondo dorme.
Son costretto a volare, certo.
Presto o tardi, l’inverno ricade sul nido,
e allora bisogna tornare indietro,
trovare un comignolo.
Dire che il viaggio è stato duro non è corretto.
Ma che ad ogni stagione si perdano
voci e baci e incontri, questo sì che è vero,
e non è poco, l’incerto.












Stavo per scriver “rosso fine”.
Come titolo pareva efficace.
Rosso è quel sangue rappreso
che asciuga nelle vene.
Dopo la guerra, dopo le ferite.
Rosso va bene allora. Non lo vedi.
Secoli interi di solitudine nascosta dai vetri,
venti di aquile che sferzano il cielo
e ancora siamo qui a litigare,
però della fine – dici – non voglio parlare.








Ti amo come può amarti un vecchio,
in quel modo patetico dei vecchi,
con quei baci gaglioffi dei quali
non resterà nulla.
Una mezza storia insomma,
eppure con l’imbarazzo che uno lo veda
come siamo diventati…
Un relitto profondo,
tra due mari profondi e distanti.










Chiuso lo sportello della macchina.
Via, lento verso casa.
Estate. Cicale. Condensa nell’aria.
Stanchezza, perfino di pensare.
Non sono più adatto a questo mondo.
Troppo diverso, troppo lontano.
L’aria mi chiude i polmoni.
Sono arrivato.








Siamo troppo feriti.
Siamo schegge di ruggine.
Ci siam sputati addosso
tutto quello che pensiamo.
E dopo, tutto è stato chiaro.

La distanza ha dissipato la storia
il piacere, il passato.
La rabbia ha bruciato l’amore.
Un silenzio pauroso, lontanissimo,
è rimasto.









Di me dice che sono un violento bamboccio
suburbano, che ho bisogno di includere.
L’ho preso da mio padre.
Di te dice che sei un’ingrata bamboccia
provinciale, capace di escludere.
L’hai preso da tua madre.
Ce l’ha detto il genetista,
studiando le carte.










Ho sempre sognato di stare insieme,
di vivere insieme.
Forse per non farmi spaventare dalle onde
del vuoto che improvvise mi assalgono.
E non solo noi due, ma tutti insieme
– noi, loro, miei, tuoi, madri, padri, amici, nemici -.
Un insieme che termina col mondo intero,
se solo ci penso, o col tuo disgusto,
quando torno a casa e fa buio presto.












Passo le sere a chiacchierare.
Tavolo amici vino.
La felicità si riduce a questo, in fondo.
Le parole scorrono oziose e esagerate.
D’altro canto, tu non hai niente da contare.









Non so cos’abbiano i tuoi occhi.
Odio, costanza, pentimento,
inganno, seduzione, malinconia.
Ma tutti i giorni ci penso,
Mi dico che prima di finire
voglio sparirci dentro.
Fame d’aria, dolore, nostalgia.












Eccolo il buio dalle persiane.
S’infiltra nella stanza,
prende il posto di quel poco che rimane
di un amore.
E tu non dici niente, perché è chiaro
che siam fatti a stare insieme,
adesso, dopo vent’anni, dopo una figlia.
Ma questo è il nostro modo di strafare,
parole che conseguono a parole.
Non c’è successo nulla veramente.
È questo il male.









È appena un lampo questo sorriso?
Questo brivido che mi hai lasciato
sotto il tetto, così, salutandomi?
Perché io invece mi riparo da un temporale,
mi preparo per l’amore e per il male.











Mi ero preparato
le dita per toccarti
gli occhi per guardarti.
la bocca per baciarti.

Ma questi fiori della notte
non vedranno il mattino.
Vattene. Fa’ presto.









Che c’è?
Non è niente.
Le parole si possono dire, si devono.
Un bacio è solo un bacio.
Dopo, ognuno rimane se stesso.
Più ricco, meno violento.











Cado. Mi illudo. Cado.
È questa l’altalena della vita.
In questa solitudine continua
mi giro, e non trovo il tuo sguardo.









Se vuoi trovarmi, cercami dove non sono,
dove non dovrei stare, non dovrei dire,
non dovrei fare.
Probabilmente è lì che mi trovo,
con tutta la verità che nascondo.










Ma tu quest’amore l’hai buttato,
giù, con leggerezza,
come si butta un fazzoletto dal balcone,
sudato, dopo pranzo.
Uno dopo l’altro, uno fra i tanti.
Appena usato.









Quando hai un buco libero da impegni,
tra un amante e l’altro, una fuga e l’altra,
scrivimi, chiamami, ricordati di me.
Sono il tuo desiderio inesausto, il tuo bene.
Sono il filo che traversa le perle, e le tiene.











La prima volta che ho capito
di amarti davvero
è quando ti stavo tradendo
eppure a te pensavo.








Dì parole chiare, lapidarie.
Ti amo. Non ti amo.
Questo o quello.
Non tremare.










Fece la pace la guerra l’errore
l’unità la divisione. Fece l’autunno.
Ma il giorno dopo sulle mani
aveva ancora quel profumo
che l’amore avea lasciato.









Provo a capire come sarà la vita
quando sarai cresciuta,
quando il sorriso che mi consola
sarà lontano, quando il senso e lo spazio
senza la tua musica sarà vago.
Provo a capire come sarà la vita
quando si è liberi di andarsene via,
trascinati dal tempo e dal mare
come una conchiglia.











Se ci fossero ancora le solitudini
vorrei costruirci un faro,
e restarmene nudo e silenzioso assieme a te,
a guardare le navi che di notte si perdono,
o che pagano il prezzo mortale
del più folle desiderio.









Oppure è un interludio tutto questo,
sì, ci voglio credere.
Appena mi guardi dimentico tutto,
appena mi tocchi, mi chiami, sorridi.
Sei la rosa bagnata in cui torno,
e io sono il drogato di sempre.

Rosso. Interludio. Poesie, 2018-2019
Raffaelli Editore, Rimini 2022

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