I. LA SCOPERTA
Elna, memoria del corpo, memoria dell’infanzia,
respiro che distende, si stende, che si apre finalmente
sul bordo del piacere;
battito del cuore che accende al tuo sorriso
se solo ti vedo passare in una stanza;
Elna, sorriso che spalanca, sorriso che distende il viso e l’anima,
sorriso che diffonde su di ogni carezza, parola, promessa
sfiorata sul corpo;
Elna, voce di farfalla, di grazia, soffiata,
serena, sì lieve, gentile, avvolgente
come il tuo sguardo, che mette imbarazzo,
che porta desiderio,
che induce all’abbandono, limpido e buio,
ordine e caos, topazio,
vulcano che inghiotte, gioia infinita e dolore,
dolore che cambia per sempre nel corpo e l’anima;
Elna, di seta liscia, veste del mare su cui la mano scende e sale,
eterna carezza che cerca il mistero, il sesso intenso,
e il ventre profuma e si spalanca, antro dell’infanzia,
gioia di prenderti per ore, per giorni;
luce che filtra nella camera dal mare,
alito che corre sulle cosce e sulla schiena,
mani e poi dita che scrutano vogliose, trattengono, separano,
perché tu possa riprendermi e accogliermi più dentro,
accogliermi per sempre sul brivido dei gemiti
che corrono nel corpo sfinito di piacere,
e il viso che si stende sul bordo del tuo letto,
si stende a questa vita che stiamo vivendo;
le labbra che si chiudono si sfiorano si cercano si uniscono
all’unisono respirano lo spasimo l’unisono ti amo;
Elna, mia stella, mattina adolescenza, pazzia ritrovata
dolcissima infanzia verace, schiarata
la fiaba in te avvera, s’incarna;
Elna, sudata, bagnata da me, per me, insieme,
due anime che scoprono l’amore a prima vista
la vera mai vista e esposta nudità,
per quanto il giorno cada nel tramonto,
e il buio del ritorno, a casa, il pentimento;
Elna nuda infanzia infinita, fammi entrare dentro te
dove morte non arriva, dove amore s’avvera,
tienimi la mano sul ventre, la bocca sulle labbra,
e il corpo sul corpo,
dammi la gioia di prendere il volo, morire perfino
se tu te ne vai da questa vita straziata e segreta,
dammi la forza a seguirti nel vuoto di un salto
nel buio d’un ospedale,
portami con te, amore totale ferita mortale;
Elna, profumo di Chanel unica Chance che penetra
nel buio della vita in cui mi perdo,
privo di te, dolcezza infinita, cos’altro mi resta?
Cosa diranno i nostri demoni, gli idioti che sempre
ci attendono al varco,
diranno son pazzo, diranno sei pazza,
diranno puttana, adultera madre indecente,
madre che lascia perfino i suoi figli;
Elna, compagna, il giudice condanna, tu stessa ti condanni
ti infili un fil di ferro spinato tra le labbra per non parlare più,
per non gioire più, per non cercarmi più,
per non toccare più l’oceano dei corpi bagnati;
ti cuci pure gli occhi per non guardarmi più,
mentre piango e ti ringrazio, ti conosco, unica vita;
Elna la pazza, asservita e ribelle,
Elna, adorata, memoria dei sensi,
Elna futuro che deve tornare,
non ti scordare che io ti sto amando,
malgrado quel volo spiccato sul baratro,
malgrado le maschere – e quante – di scena,
non ti scordare di questa stagione
ch’è stata spezzata, violata, stuprata,
proprio adesso che sul corpo di fata la bestia infierisce;
Elna, adorata, aspettami lontano, nel buio dell’anima,
in cui gli altri non arrivano e il mostro non può scendere,
dove un tempo m’hai pregato di restare,
Elna, non ti scordare che molto t’ho amata,
che ancora ti amo, e che adesso, da qui, ricominciamo.
II. LA CAMERA SUL MARE
L’avevi già detto al telefono l’amore, mia Elna,
tornare felici soltanto per un giorno, eterni bambini eterni
che al telefono già dicono non dicono promettono s’accendono…
t’immagini mio amore… mi tocchi sui capezzoli…
e un po’ me ne vergogno,
l’amore non l’ho fatto, l’amore quello vero…
t’immagini mio amore, bagnati già al telefono,
perché la voce s’incendia, m’incendia e mi bagna,
e me ne torno a casa stordita, ubriaca,
nel bagno mi richiudo, per terra, mordendomi le labbra,
mi accascio contro il muro, mi siedo, mi tocco lungamente…
così vorrei sfiorarti domani, nel nostro piccolo antro
e il blu è un fondoscena, e il mare una distesa di lino
profumata… -.
Così s’è cominciato, d’un tratto, all’improvviso,
non rito d’adulto, non mossa di teatro… mi sono inginocchiato,
tu stavi adagiata sul bordo del letto, me solo attendendo,
ti ho tolto le scarpe di nera vernice borchiate,
i tacchi da bambina che gioca a far la donna,
mi sono piegato e mi hai detto, – per vezzo -,
ti piacciono le unghie? Le ho fatte red cristal come desideravi -;
Elna, mio amore, di te mi piace tutto,
perfino quella polvere sterrata sui talloni,
perfino il cinturino che stringe alle caviglie
gonfiate da quel sole sotto il quale ti precipiti vogliosa,
truccata al primo mattino,
dopo un rapido sott’occhio timidissimo al concierge…
E togli via le scarpe, togliamoci la gonna, le calze,
togliamo la camicia di cotone, quella bianca, quella azzurra,
quell’azzurra come il mare che intanto ci consola…
Così rapidi, e poi nudi, di fronte al primo amore
ma già rigenerati da mille e mille baci,
segreti confidati su quel che mi dispiace o piacerebbe…
– vorrei che lo sentissi Chanel o Terre d’Hermès,
l’ho messo su per te…, vorrei salissi sopra,
vorrei scoprissi tutto ma tutto proprio tutto di me…
di te l’ho già sentito da un pezzo, il respiro,
lo vedo dai tuoi occhi, mi piace stare sopra… -;
allora vieni sopra, inarcati e poi strusciati,
e bagnami sui lombi col nettare divino,
e tienimi le braccia schiacciate sopra il letto,
tienimi le gambe spaccate sopra il letto, e muoviti, e danzami,
e cercami, vicino, vicinissima… ci sei quasi… oplà,
m’hai vinto, catturato, sciulato nel tuo lago,
a lungo hai respirato, chiamato il mio bel nome, amore,
goduto ad occhi chiusi, goduto ad occhi aperti…
abbiam buttato via la cima della nave…
l’amore non finisce, non sopisce,
l’amplesso sale e scende come un flutto,
fino all’alba, fino a sera, fino a notte;
la nostra prima volta, sfinita ed infinita
volevi raccontarla di sera ad una cena
o solo per scherzarci tra di noi,
per dire che alla fine l’abbiam fatto sette ore,
l’amore, quello vero, l’amore, cento orgasmi,
e iscriverlo per sempre nel diario della vita.
Elna, mia dolce, ho tutto il tuo sapore sulle labbra
sulla pelle, e tutta la tua pelle sa di sesso, la mia pelle;
cambiamo le parole, mia stella bell’aprile,
la nostra prima volta è ancora da scoprire…
Sei stato un pazzo amore, ed io son la più pazza,
son stata tutto il tempo lì a danzare su di te,
l’hai visto che mi piace chiuder gli occhi e farti entrare,
respirare e farti entrare,
Elna, mia stella, la schiena tra le mani sui fianchi
sul tuo vitino-vespa, sul tuo culotto morbido
che adagia su di me, la notte, il desiderio,
lo sguardo sul tuo seno, e poi l’uno nell’altra, distesi,
di fianco, di fronte a questo mare.
III. IL BOSCO DI CAPODIMONTE
La veste era leggera, una maglietta rossa,
la borsa da picnic, e poi la gonnellina dipinta da Andy Wharol,
la gonna scampanata, su gambe disvelate…
E il Bosco era un’estate d’aprile, profumata,
giocosa, spensierata…
Passeggiavamo lieti, la mano nella mano,
il braccio intorno al braccio, più stretti, più protetti…
passeggiavamo lenti, dicendoci ti amo,
dicendomi sono pazza, mio principe, di te.
Così ce ne andavamo, cercando un nostro antro
in cui poterci stare, cercare, e trovar l’anima.
Che è quello che cercavi, ch’è quello che cercavo,
sul piccolo spiazzetto nascosto tra li rami
sommerso dalle voci dei passanti, qua e là,
distesi su quel telo di gomma dechatlòn,
distesi e sorridenti di fremiti e parole,
aperti sulla vita, la vita che sorprende – ti ho tolto le scarpette,
baciato le caviglie di terra appena sporche,
di menta, appena fresca,
t’ho stesa lì di fianco per mettermi di dietro,
di dietro alla tua schiena,
t’ho alzato quei capelli lunghissimi a nascondere
il tuo e il mio respiro,
e intanto con la mano salivo per le cosce,
e intanto con la lingua seguivo la tua rima…
e tu che all’improvviso, “amore, che ne dici, ci vieni dentro me…”,
ed io che proprio quello da sempre m’aspettavo,
qualcuno che vedesse, scorgesse e m’invitasse,
battendo la vergogna lo sguardo dei passanti…
ho alzato la tua gonna, che tutta eri bagnata,
balzato sul tuo corpo fremente che aspettava,
e insieme abbiamo spinto,
insieme abbiam gridato, gioito, volato…
Elna, sorpresa, che ancora mi stupisce
l’ingenua tua follia, follia che non indugia,
mia piccola monella che più non sa rigare, diritta, ricordi?
Già prima, in quel di marzo, lo spiazzo del Leroy,
mi afferri per la mano l’infili tra le calze
mi vuoi fare vedere le nuove brasiliane… Mio Dio,
quanta impazienza, che fretta, che imprudenza…
mi hai stretto la mano serrata senza muoverti
bagnandoti, bagnandomi,
facendomi volare sul miele dell’amore che ognuno
all’improvviso apprende al primo bacio
felice, beato, ammaliato in mezzo al Bosco…
Ci siamo sollevati, levati inappagati;
Ci siamo guardati negli occhi e poi baciati
facendo ancor l’amore con gli occhi dentro gli occhi,
perdendoci e trovandoci ancora dentro gli occhi.
Ci siamo rialzati, perduti, stupefatti.
Son contenta – mi hai detto -, che poi ci ritorniamo,
promettimi, promettilo.
IV. Il PRIMO ABBRACCIO
Nascevi dalla spuma del mare, come Venere,
nascevi nell’amore, mia Elna, da sempre…
Sei giunta come un’onda imprevista, una scoperta.
Ti lascio un libro mio, con sopra quella dedica
“per Elna, trasporto e conoscenza”.
E tu ti sei lasciata portare da quell’impeto
che già da tempo avevi sentito dentro te.
Mi stavi già osservando da un anno – dicevi -…
La “casa delle bambole” adesso aveva luce;
la danza dell’infanzia metteva le scarpette.
Indietro son tornato per prendere il telefono.
Ho chiuso la tua porta, guardando a testa bassa,
mi sei saltata al collo, stringendomi fortissima.
L’abbraccio, chi lo scorda!
C’è forza e c’era incontro, in quella prima stretta,
c’era anche la sorpresa di chi trova l’infanzia
e prende, s’intrattiene, si fa cogliere e baciare.
Non c’era un solo giorno in cui non m’abbracciavi…
Entravi nella stanza, saltavi tra le braccia,
come un adolescente, mostrando forza e gioco,
coraggio e verità;
m’abbracci ad occhi chiusi, mi baci e io ti bacio,
ti sfioro sotto gonna sotto veste
mi bagno di quel nettare che annunci così buono,
dolcissimo e copioso…
I giorni ci sorpassano, mio amore, ci rincorrono,
io corro a ritrovarti per gli angoli di strada, di vita, di città,
per ogni santo giorno che Dio ci ha permesso.
Ricordi quei mattini, quell’orzo, i biscottini,
con gli occhi nei miei occhi, cerchiati dall’eye liner
perché non si vedesse del mare la tristezza…
Quel mare in cui scendiamo talvolta di nascosto,
a amare e consolarci.
V. LA FIAT 500
Seguimi mio amore, perdiamoci di fuori
del tempo, fuori strada. Fermiamoci qui sotto,
la puzza e l’abbandono di questo asse mediano,
che poi chissenefrega…
ho voglia di restare, di stare insieme te.
Fa presto, monta in macchina, abbracciami poi baciami,
questi occhi voglio chiuderli sulla mia vita orribile,
ho voglia di scordare, non piangere, sognare.
Stringimi, e abbracciami, e baciami poi baciami, –
ti piacciono le labbra? Sono morbide, son belle?
Per te sono speciale? -.
Ma certo, sei speciale, sei sole e meraviglia.
– Per te me le son fatte ste labbra, questo filler -.
Baciami, e abbracciami, e spegnimi le angosce.
Ho voglia di te, ti prego, rapiscimi, poi toccami,
mi stringo alla tua mano che cerca fino a dentro,
mi perdo nel tuo vivido profumo desiderio.
Le calze, le unghie rosse, così nere le tue ciglia,
e poi quei tacchi così alti piantati nella porta,
le cosce spalancate, la gonna bianca e rossa, fiorita,
sollevata sullo scandalo, gli slip abbandonati,
le mani che mi spingono più dentro, le dita che s’insinuano,
e il tuo respiro sale, ed io e te che sale, insieme,
bagnati, per ore, mi senti ancora amore?
Bellissimo, continua… e tu lo senti amore, lo senti come sto?
Mi fai venire sempre, continua, che ti amo,
non smettere non smettere non smettere ancora.
E gli occhi che si chiudono, le bocche che si aprono,
si baciano, ti adoro.
La vita è in questa macchina, i ponti, l’autostrada.
La vita è solo questa, e tu mi fai sognare,
mi levi dal mio piombo, mi porti più lontano.
La vita è questi baci, in queste dita, è in te che scendi,
mi cerchi, mi carezzi, e stella mi fai essere…
L’amore è stato un sogno, per me. Un lungo sogno.
Per me tu sei Tesèo, l’amore che ho rapito.
Io sono la tua Elna, che a te si lascia andare.
Lontano. In questa nave.
VI. LE TELEFONATE
Son sempre così lunghe, le tue telefonate.
Mi cerchi di continuo. Chiamate su chiamate,
mattino e poi di sera, il tempo ch’è possibile.
Le nostre chiacchierate, son belle, sono allegre,
giocate, sorprese, i bimbi, i sacrifici,
le pene, le speranze, le promesse.
Le nostre chiacchierate, ricordi?
Nel bagno ti chiudevi, nascosta, sussurrando,
ti voglio mio bel principe, quand’è che ci vediamo?
La camera d’albergo, ho voglia dell’amore…
Ti piacciono i Foo Fighters? Ascoltati Everlong.
Ci ho pianto. È proprio bella.
E senti Chris Cornell, ascolta Like a Stone,
bellissima anche quella;
ascolta bene Thank you, per te, amore mio…
La sento nella macchina quando mi metto in viaggio,
l’ascolto di continuo; tu senti i Negramaro, è bella, fa tremare
e “mentre tutto scorre” -, ti mando un’astronave,
ti mando la Presenza l’eterna di Pessoa;
ti ho scritto una poesia, l’ennesima…
l’ho letta amore mio, lo dico a bassa voce,
sto in macchina coi bimbi, lo sai che io ti amo, ti prego
ancora un attimo, stasera e poi stanotte;
lo sai che m’addormento nel letto col telefono,
aspetto di sentirti, non riesco a stare senza,
ma tu mi fai impazzire, con tutto questo amore…
Elna, le nostre chiamate dal mare, dal piazzale,
dal buio del garage, le nostre chiacchierate così lunghe,
e ricercate sul lavoro, dentro casa, per le sere…
le nostre sussurrate, bagnate dalla voce
che è gioia lingua e sesso, che incanta e che spalanca,
che induce a accarezzarsi.
La tua chimera voce, che chiama a far l’amore,
mia stella così bella
– domani ci vediamo, la nostra cameretta
facciamo tutto il giorno l’amore, tutto il tempo…
che bello, tutto il tempo -.
VII. L’OSPIZIO DEI POVERI
La camera all’ospizio, l’amore tuo continuo, mai visto,
gli amplessi, gli orgasmi, a ondate su ondate
di baci su baci…
Elna, bel corpo, mia stella adorata,
ricordi ogni bagliore di quelle mattinate?
La camera nell’ombra di fronte a quell’ospizio,
immersa nel calore dell’estate,
vocìo dei commercianti e delle strade.
Apri il ventilatore, le tende son farfalle,
il letto chiama a sé le sue odalische…
Mi piacciono le unghie, mi piace accarezzarti,
mi piaccion le caviglie, le scarpe di vernice
nerissime e buttate per aria come vele,
le gonne già sfilate, bagnate dall’inizio
le nuove brasiliane, confetto rosanero…
cercavo quegli sguardi, l’attesa, il desiderio…
Già persi ci eravamo già prima di trovarci;
e quella cameretta per noi era un passaggio
tra il prima ed il domani, l’immenso ed il profondo mai visto,
che gli altri poi ci invidiano, gli Dei pure ci invidiano…
Elna, bambina, buttata su lenzuola di organza, la pazza,
le gambe appena schiuse, le mani sul mio corpo
– posso toccarti amore? E posso accarezzarti…
…baciare il tuo bel sesso, finora non l’ho chiesto per vergogna,
ma adesso ne ho più voglia, adesso ho più coraggio -,
Elna, mia amica, mio cuore, vieni sopra,
vieni dentro, resta dentro, mia Elna, mia stella…
mio principe, di schiena, e toccami, poi aprimi, poi baciami,
poi prendimi davanti, poi prendimi da dietro,
e prendimi, e leccami, e prendimi dovunque,
dimmi le parole che ti vengono alle labbra,
fammi quelle cose che ci donano piacere,
fa’ come i primati che si leccano i capezzoli, i genitali;
fa come un amante che l’ha fatto a mille donne.
Ti aspetto. Tutto è bello del tuo mondo, mi dà gioia;
ti apro il cuore mio e il corpo mio,
ti prendo dentro l’anima, per sempre.
Elna, miraggio,
trasluce il pomeriggio nell’alcova dell’ospizio,
l’amore mai visto, la nostra prima volta,
l’amore amore vero, l’amore arcobaleno,
gli amplessi gridati o soffiati a migliaia
di baci e di carezze, di orgasmi.
Son sfinita, amore mio, non ci ero abituata,
per me non c’è mai stata, mai stata tanta gioia…
Prometti amore mio che ci ritorneremo.
E questo mi dà forza di tornare giù in prigione.
Voglio fare l’amore, mio principe,
sei pazza, mia stella, adorata,
dal viso vedi l’anima, che torna adolescente,
mi contieni, mi fai perdere, mi rendi verità.
VIII. POESIA ININTERROTTA
Poesia ininterrotta la nostra, la vita che tramanda,
malgrado la cenere, le maschere, e i palpiti nel vuoto.
Venuta da lontano, è antico il tuo cercare
mia vita, amore vero, rispetto, desiderio.
Giocavi con le bambole sognavi quella casa
che ancora sta incompleta.
Volevi già danzare staccarti dal tuo suolo,
ma giudici ignoranti t’hanno imposto di atterrare,
di smetter di sognare e immaginare maghi e favole.
Un bacio era uno schiaffo agli occhi di tuo padre.
Un bacio si torceva come un salto minacciato
da tua madre alla finestra.
Oh, Elna, che bello richiamarti, sentire il tuo bel nome,
contare della grazia che pure hai conservato
malgrado le minacce l’orrore il matrimonio,
vergogna di esser stata trattata come un secchio,
lo scolo mattutino e coniugale…
L’hai tenuto, quell’amore, nascosto in un diamante,
di quelli G e F che tu adoravi tanto,
racchiuso nel tuo cuore prezioso, un bel “minou”,
bellissimo il tuo nome di luce scintillante…
Ricordi dell’inizio? Stavamo nella Panda,
la mano mi hai poggiato sulla mano, lentamente.
È nato il nostro amore, sugli occhi ricambiati
gli sguardi ricambiati, le stanze, nel segreto.
È nato, il nostr’amore, quel giorno di febbraio,
la mano e la promessa che insieme partivamo,
che il nostro desiderio profondo era sincero
su tutto, e condiviso.
L’amore era già nato, laggiù, in quello spiazzo,
s’un bacio e una promessa, buttare via la croce,
la vita è così bella se poi torna all’infanzia,
se amore è delicato, gentile, appassionato,
totale, unico e vero, esposto nudo e vero.
E noi siamo rimasti, verissimi e nudati.
L’invidia ci appestava, ma noi rimanevamo,
esposti e fieri e nudi.
La Bestia ci braccava,
ma noi resistevamo, ignari esposti, nudi,
a prenderci per strada,
a amarci nella camera, la camera sul mare.
Mai niente è stato semplice, nessuno ha mai volato,
ma siamo stati insieme nel buio e nell’offesa.
Poesia ininterrotta la nostra.
Ci siamo ritrovati perfino in ospedale – ricordi? –
Io ero là da solo, e tu sei corsa indietro a prendermi un pigiama,
m’hai fatto compagnia, mi hai steso, dissetato,
lavato e fatto uscire.
E poi tutta tremante, di fronte al melanoma,
di fronte alla vergogna di un seno troppo piccolo,
di fronte all’imbarazzo di essere spogliata…
ma io ci sono stato. Ti ho stretto la mano – mi sento protetta,
hai detto -, sulla spalla,
mentre aspettavamo l’avvocato che voleva
prenderti per mano e portarti via dal ghetto…
…ah, almeno ci siamo incontrati e insieme buttati
nel vortice dei sensi che chiamano infanzia,
infanzia o tradimento,
ma che per noi è amore, desiderio, unicità.
IX. LA FINE
Elna, memoria del corpo, memoria che risplende,
mia anima dolente. Da quanto stai piangendo?
Metto la mia faccia sul ferro che va ad Auschwitz,
chiedendo se verrai. Vengo a prenderti, a cercarti,
giro in casa, giù per strada, sperando che tu riesca
a uscire dal cancello, un attimo almeno.
Che cosa ti è successo? Che cosa ti hanno fatto?
Ho sentito dal telefono, percuotere il tuo corpo.
Ho intravisto tuo marito maledire le tue labbra,
strappare le mie foto, sputare su quei baci trafugati
da spioni volgarissimi assoldati per stuprarti.
Ho visto i suoi compari sbottonarsi i pantaloni…
i mostri suoi incarnati, uomini folli, draghi.
Ti ho vista inginocchiata, col viso insanguinato,
le cosce lacerate, a chiedere perdono.
Ti ho vista deprivata di tutti i tuoi averi,
difendere i tuoi figli da quel porco, Mangiafuoco.
Ti ho vista al suo guinzaglio diventare una cagna,
trasformata, nella luce plenilunia, affamata.
Elna, mio amore,
non posso più spiegarti il dolore che provo
di giorno, di sera, da solo.
Nemmeno ho più la forza di andare a lavorare.
Vorrei solo buttarmi su un divano. E poi morire.
Abbiamo navigato per lunghi cinque mesi.
Un tempo che dura un’estate, e vale una vita.
I ricordi sono vividi, ancora, il cuore è sottosopra.
Mai visto tanto amore – dicevi – tanta gioia,
Mai vista tanta grazia, dicevi, sono pazza.
Per me sei perfettissimo, sei l’uomo più speciale -.
Per me tu sei la prima, la gioia mai provata.
Mai più potremo amare così profondamente.
Tra noi c’è quel cordone di una madre col suo piccolo,
la mano dell’acrobata serrata al suo compagno,
il cuore condiviso dei siamesi…
Elna, tesoro, la bestia ti dà caccia.
La bestia che si aggira con il fuoco nella gola;
lo zoccolo schifoso che ti schiaccia a poco a poco…
E devi sopravvivere, salvare almeno i figli
ché un giorno riconoscano in te l’unica stella.
Ma il mio delirio è acuto e ancora ti vorrei
baciare un’altra volta, ancora un’altra volta.
Elna, piango. Non so più come vivere.
Per me non c’è più posto in cui poter restare.
Noi siamo due bambini che vogliono giocare
che parlano con gli occhi, che esplorano coi corpi.
E adesso, quest’infanzia, quest’infanzia finirà?
La musica che amiamo sfumerà?
Lo vedo, sei tornata nella gabbia,
ma sotto le tue unghie trovi ancora quello smalto
con cui c’incontravamo di nascosto a far l’amore.
Un giorno, quest’amore approderà,
farà il giro per il mondo, per le terre e per i mari, nel fuoco.
La poesia fa già posto alla gioia,
al coraggio conquistato di vivere davvero.
E tu sarai lì, aspettando qualcosa, qualcuno, chi lo sa…
Una voce che ti coglie, nel traffico, distratta;
una chiamata orribile sperata da una vita,
la voce mai scordata di me che ti richiamo…
Elna, la vita non è andata ma io sono rimasto,
trent’anni t’ho cercata, trent’anni, ti ho cercata.
Adesso tocca a te, restare almeno un giorno.
Ti aspetto nella camera sul mare,
dove un tempo siamo stati giovanissimi e beati.
Lasciami rientrare nuovamente dentro te,
dove l’odio non arriva, dove il caso non arriva,
di modo che un bel giorno si possa raccontare
che al mondo c’è pur stato un rifugio nel quale
due pazzi sono vissuti giocando a far l’amore,
due amanti sono morti giocando a far l’amore.
Napoli, luglio – dicembre 2021
Poemi d’amore perduto, di prossima pubblicazione
